10 Agosto 2023 Irene

Il montaggio di Pietre Sommerse

Alessandra Cernic è la montatrice di “Pietre Sommerse” e in questa intervista ci racconta scelte narrative, difficoltà e punti di forza di questo progetto

1. In generale su cosa ti basi, al montaggio, per trovare la strada più adatta a raccontare una storia? Che approccio hai utilizzato per tirare fuori il racconto di Pietre Sommerse?

Jordi mi aveva raccontato la storia di “Pietre Sommerse” ancora prima di vedere il materiale. Quando poi mi sono guardata il girato ho fatto un premontato grezzo delle immagini mettendoci qualcosa di mio, ma soprattutto seguendo la sceneggiatura pari passo. È una cosa che faccio spesso per avere un punto da cui partire, qualcosa su cui discutere.
Da qui abbiamo iniziato a lavorare insieme, confrontandoci per cercare di capire dove voleva arrivare Jordi. La storia è drammatica e tocca aspetti molto personali delle vite di persone a lui vicine. Quando c’è così tanto dietro, bisogna per forza parlarne assieme.

Sono partita dal chiedergli due cose fondamentali: Cosa vuoi che arrivi? Cosa vuoi che succeda alle persone in sala? Due domande che sono state il motore di tutto il lavoro successivo.
A prescindere dai ragionamenti fatti in precedenza, da tutti i pensieri che potevano passarci per la testa, bisognava avere chiaro il risultato a cui puntare per far uscire la storia, e mirare a quello.
Anche quando ci è capitato di dover cambiare alcune cose, nel rispetto delle scelte portate avanti con gli altri collaboratori, abbiamo sempre trovato la quadra proprio perché ci siamo fatti guidare da un punto chiaro: tirare fuori il racconto al meglio.

2. Quali problemi possono sorgere quando ti trovi davanti a una narrazione lineare? Hai trovato difficoltà particolari nel montaggio di Pietre Sommerse? Come le hai risolte?

Chi conosce i retroscena della post-produzione ha tutta un’altra visione rispetto a ciò che viene percepito dallo spettatore. Questo c’entra molto con il montaggio, perché quando ci si approccia al materiale bisogna pensare a chi lo vedrà alla fine senza tutto quello che c’è stato nel mezzo, senza la carica di emozioni o difficoltà di lavorazione. Raccontare una storia lineare al montaggio vuol dire scegliere sempre, soprattutto nei dialoghi, il quadro migliore per esprimere la narrazione e tenere lo spettatore dentro la storia. Chiedere più attenzione a chi guarda con un close-up, sottolineare determinati aspetti di ciò che accade scegliendo le inquadrature, fare tutto il possibile per accordare la recitazione con un discorso visivo, di grammatica dell’immagine.
In questo caso, soprattutto il dialogo centrale, era stato girato con dei punti macchina particolari. Mi sono trovata in difficoltà perché non avevo grande libertà di movimento nel seguire quello che dicevano gli attori. Dato il lavoro fatto con Jordi per fare arrivare dei percepiti emotivi sotterranei, che non erano esplicitati, ma che lui aveva bene in mente, nulla di tutto ciò poteva perdersi passando da una persona all’altra nel dialogo. Per fare arrivare il passato dei fratelli, la loro storia mai raccontata, i loro ricordi, e fare capire cos’è che li muove davvero in ciò che dicono, era importante far concentrare lo spettatore su ogni battuta. C’era tutto un lascito, una stratificazione emotiva che doveva venire fuori in qualche modo.

Fare uscire tutti questi elementi è difficile se non si ha libertà di movimento totale fra i quadri. Nelle inquadrature un po’ più larghe, infatti, c’erano dei disturbi visivi che distoglievano dalle parole degli attori, per questo ho deciso di montare tutto il dialogo in primo piano, così da non perdere nulla della recitazione. Utilizzando i primi piani diventa naturale ascoltare le parole del dialogo, non c’è nulla che possa distrarre dalla narrazione. Secondo me, così facendo, c’è tutto, anche perché gli attori sono stati molto bravi, hanno fatto un’ottima performance ed erano molto dentro il personaggio.

3. Qual è il momento che ti piace di più del tuo lavoro? E quello che ti è piaciuto di più di questo lavoro in particolare? Quali sono secondo te i punti di forza di Pietre Sommerse?

Quando ho letto la domanda mi è sembrata molto complessa. Mi piace un po’ tutto. Parlare con un autore che dietro ha la sua idea, perché innesca nella mia testa un processo di riflessione su quella suggestione, che serve a trovare il modo migliore per arrivarci con le immagini. Durante questo processo accade che ogni volta che vedo qualcosa lo associo al lavoro che sto facendo. Mi piace prendere il ritmo, ma anche incartarmi su qualcosa, per poi trovare la svolta, perché mi dà quell’adrenalina di quando risolvi un problema.

Poi sicuramente amo vedere il lavoro finito, con il colore e il suono, sapere che rispecchia l’idea a monte, che dà voce alla storia nella maniera giusta, rispettandone il valore. Per esempio, vedere “Pietre Sommerse” concluso, completo delle musiche originali, è stata una gran soddisfazione. È proprio il sentire di aver compreso un’idea e di averci lavorato, cercando le strategie giuste per tirarne fuori il meglio.
Per quanto riguarda il punto di forza di questo corto secondo me è proprio l’apporto personale di Jordi. Il fatto che si veda che storie come queste ne conosceva. Coinvolge perché non si è trovato per caso a parlarne, nei dialoghi, nella recitazione, si sente dappertutto la persona dietro e quanto ci teneva a parlare di questo.

4. Quale valore aggiunto si ha lavorando con un gruppo affiatato, con persone che hanno rapporti consolidati? Ci sono stati dei punti di accordo che vi hanno guidato nella realizzazione del corto?

Vado sintetica su questa risposta perché per me il valore aggiunto è la fiducia. Più conosci una persona più hai un livello di fiducia dato appunto dalla conoscenza. Sai come si approccia, come lavora, cosa fa e questo toglie una parte del tuo lavoro, perché sai già anticipare l’altro, sai già come completerà quello che hai fatto.
Fare questo tipo di mestiere è bello perché vedi un gruppo di persone che si fa un sacco di viaggi mentali per cercare la migliore soluzione. Anche in questo caso ci ha guidato il ragionare assieme, il confronto, la condivisione di punti di vista. È un lavoro che va in profondità, tutti i reparti sviscerano i loro dubbi per tirare fuori il migliore dei risultati. Non è solo un incastro meccanico, non si parla tutti assieme per fare funzionare un ingranaggio esecutivo, ma per comunicare qualcosa. Il mosaico di teste, la chiacchiera continua, serve a questo.

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