23 Febbraio 2022 Sergio

Vendiamo cultura, non oggetti.

Essere o possedere? Questo è il dilemma.

Un’alternativa che descrive alla perfezione il più urgente fra i dubbi che affliggono il mondo del mercato contemporaneo, sempre alla ricerca della formula adatta a soddisfare le aspettative dei consumatori.

Oggi il dilemma non è più tale, poiché la sua risposta è diventata molto chiara: essere.

La novità è che ai giorni nostri un’azienda, per rendersi competitiva, deve aver imparato ad essere qualcosa, deve aver formato un’identità forte e ben riconoscibile, che esprima una vera e propria vitalità.

Il successo di un’impresa, in sostanza, non passa più soltanto per la vendita dei suoi prodotti, non è garantito da una strategia di marketing puntuale orientata alla conclusione dell’acquisto, dunque pensata per soddisfare il cliente sulla base del possesso di un oggetto.

Il modello vincente è attualmente rappresentato dalla cosiddetta customer experience.

Si fonda su un progetto di marketing integrato ed esteso nel tempo, capace di dar modo all’azienda di conoscere i suoi clienti, di immedesimarsi in loro per comprenderne i bisogni e i desideri, al fine di proporre, ad ogni consumatore, esperienze che siano sempre nuove ed uniche, poiché create su misura per lui.

Il regno della customer experience

Ma come è possibile attuare un progetto così ambizioso, che garantisce di impegnarsi a ragionare come il cliente? Che promette di arrivare ad immedesimarsi nel consumatore per potergli confezionare un’esperienza d’acquisto coi fiocchi?

L’esempio più lampante arriva dal mondo del fashion che, per primo, è riuscito a tradurre fedelmente un tentativo di immedesimazione in quella che è un’esperienza a tutti gli effetti.
Il discorso è sempre lo stesso: fra possedere un oggetto di moda ed essere la moda, c’è una bella differenza.

Se pensiamo al caso del Made in Italy, infatti, ci renderemo subito conto che senza alcuna perplessità andremo ad associare ad esso non tanto una serie di oggetti alla moda prodotti in Italia, quanto un modo di vivere, l’italian way of life, che quel particolare oggetto è capace di portare con sé, assieme alla promessa di trasmetterlo al suo possessore.

Lo sforzo del Made in Italy è culturale, perché vende i valori della cultura italiana, prima di tessuti, gioielli, scarpe.

È in questo quadro di visceralità, di carnalità del rapporto fra oggetto e cultura che prendono forma e senso le sfilate di Fendi lungo una passerella allestita dentro la Fontana di Trevi, di cui il marchio ha finanziato il restauro, o le ammalianti collezioni di Dolce e Gabbana che si mostrano fra i vicoli di Napoli.

Tale operazione riguarda la volontà di legare noti marchi a luoghi iconici della storia italiana, impressi nell’immaginario di tutti, così da sigillare l’oggetto alla cultura e convincere il cliente di ciò che sta comprando, o meglio vivendo, una volta per tutte.
Dove le trasformazioni interne al mercato hanno imposto di vendere oggetti che siano in grado di far vivere un’esperienza a chi li compra, il mondo della moda ha risposto con pezzi di cultura, che stanno a pennello sul cliente, poiché sono stati ideati e realizzati tenendo conto di come egli si vuole sentire, di cosa egli vuole provare.

Accendere la luce sul lavoro

I prodotti Made in Italy sono straordinari perché producono e vendono cultura. Ma tutto questo può ancora non essere abbastanza. Il cliente, per essere soddisfatto, non si accontenterà di vivere un’esperienza neutra, ma ne vorrà una di qualità. Come fare?

La qualità dell’esperienza sembra diventare raggiungibile soltanto attraverso un impegno a monte, che consiste nell’imparare a raccontare il proprio lavoro.

Il Made in Italy, infatti, non è divenuto tale solo grazie alle genialità degli stilisti che hanno saputo imporre un certo stile, ma è fatto anche di storie, raccontate da imprenditori che hanno saputo far emergere il loro modo di produrre grazie alla giusta narrazione.

Ecco che finalmente, il racconto, la più grande passione di Officina Immagini, trova il suo posto in questo scenario.
Se oggi lo scopo non è vendere solo il prodotto, ma l’intera l’azienda, chi compra sarà pronto ad acquistare tutto il pacchetto. Per questo occorrerà rendere giustizia al bagaglio di saperi e competenze di un’impresa accendendo la luce sul suo lavoro ed imparando a narrare gli aspetti più umani coinvolti in esso.

Il segreto? Lavorare insieme!

Una storia che racconti un’intera azienda però, non potrà che essere complessa, ricca di elementi, dunque per nulla facile da raccontare. Qui entra in campo Officina Immagini, mossa dalla convinzione per cui il problema starebbe nel modo in cui siamo abituati a pensare il ruolo del presidio della filiera, che dovrebbe invece aprirsi ad un modello di business alternativo, capace di fornire servizi in modo diverso, nuovo.

Il segreto del cambiamento è solo uno: lavorare tutti insieme.

Moda, turismo, industria alimentare, fabbriche, in un sistema organico, legato dalla narrazione di una storia, che porterebbe un immenso valore aggiunto, il valore dell’esperienza vissuta e poi raccontata, a ciò che si sta vendendo.

In questo modo, non sarebbe solo l’azienda a sfruttare a monte la capacità di immedesimarsi nel cliente, ma anche il cliente, a sua volta, avrebbe la possibilità di identificarsi nel racconto di un certo modo di lavorare, fatto di ideali e valori precisi.

Questo è esattamente ciò a cui punta Officina Immagini: raccontare coerentemente un’identità aziendale, dando spazio a tutte le sue voci, così da esprimere la particolare cultura del lavoro che le unisce e le caratterizza. Per fare questo servirà una collaborazione autentica, che miri a far lavorare tutti assieme sotto la guida di una narrazione efficace, una narrazione che sia capace di soddisfare il bisogno di esperienze sempre nuove del cliente, come solo i bei racconti sanno fare.

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