29 Settembre 2022 Irene

Alpinista, padre e uomo libero.
Gino Soldà – una vita straordinaria.

“Umiltà, generosità, caparbietà, ambizione, ironia, dedizione alla famiglia e amore per la vita.” Così Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon, registi del film “Gino Soldà – Una vita straordinaria” hanno definito il loro protagonista.

Ed è così che la produzione Cineblend, affiancata da Officina Immagini, ha voluto raccontarlo al grande pubblico, portando al cinema la sua vita straordinaria in un film biografico che non racconta soltanto il Gino alpinista, ma soprattutto l’uomo dietro alle grandi imprese sportive.

Un film biografico che mantiene le promesse.

Quando si decide di trasformare una biografia in un film, è necessario che il pubblico si fidi di ciò che vede: è essenziale creare un legame invisibile tra chi crea e produce, e chi, invece, è spettatore della storia.

Da qui viene l’importanza della ricerca, la responsabilità di scegliere cosa raccontare e soprattutto come raccontare, che secondo Giorgia e Manuel è stata la parte più difficile da affrontare, per fare apprezzare al pubblico tutte le sfumature non sempre visibili agli occhi di chi non ha conosciuto veramente Gino Soldà.

Il film è nato proprio da questa capacità dei registi, con le loro scelte fatte assieme al resto del team creativo, di prendere in mano e trattare con delicatezza i diversi materiali di cui il film si compone: la ricostruzione filmica degli ultimi giorni di vita di Gino Soldà, le immagini documentarie, le interviste agli alpinisti Simone Moro e Maurizio Tasca, e alla famiglia di Gino, fonte inesauribile e preziosa di ricordi.

Se il confronto con i primi è servito a tirare fuori il ritratto dell’alpinista, il contributo dei suoi cari ha fatto emergere con chiarezza il lato umano.

L’obiettivo era quello di raccontare Gino Soldà in modo autentico e mantenere saldo il legame di fiducia con il pubblico. Mantenere una promessa di autenticità che i due registi hanno fatto emozionandosi di fronte a questa storia e decidendo di condividerla con noi.

L’armonia tra personaggio e paesaggio.

La cornice perfetta affinché il personaggio di Gino prendesse vita? Sicuramente la sua montagna.

Uno degli elementi più forti del documentario sta nel dare allo spettatore la possibilità di riflettere sulla relazione tra l’essere umano e la montagna. Creare un’armonia tra il paesaggio e il protagonista, dunque, è stato fondamentale. Uber Mancin, il direttore della fotografia, ha studiato assieme ai registi il modo migliore per raccontare le Dolomiti, trasmettendo allo spettatore ciò che Gino Soldà vedeva in quelle pareti mai salite fino ad allora.

La fotografia del film rende la montagna un elemento vivente, un soggetto attivo, sottolineandone l’imponenza e la verticalità.

Il primo elemento, come ci ha detto lo stesso Uber, è servito a mettere in risalto: “la sproporzione tra la grandezza e la magnificenza di queste lingue di roccia e la dimensione umana”.

Una scelta che rimette l’uomo al proprio posto, rendendolo “piccolo” di fronte alla natura, in un’epoca in cui la coscienza dei limiti umani va più che mai presa sul serio, soprattutto rispetto all’ambiente.

La verticalità, invece, è servita al dop per sottolineare i caratteri di sfida, tenacia e follia che servono per compiere le imprese in cui Gino Soldà è riuscito. Lo stesso Uber si è trovato a dover affrontare una bella avventura per quanto riguarda le riprese in parete sospeso a 90 metri d’altezza. Un’esperienza che ha descritto così:

“Molte erano le emozioni che affollavano la mia testa in quel momento: la paura che qualcosa potesse andare storto, la responsabilità di portare a casa del buon materiale, la consapevolezza che molte persone contavano sulle mie capacità. Nel momento in cui ho premuto REC per la prima volta, vedendo a monitor la mano di Simone Moro che saliva la parete totalmente a suo agio, tutte le sensazioni sono sparite per fare spazio all’unica cosa che in quel momento contava: l’immagine.”

Queste riprese in particolare sono state rese possibili anche grazie al supporto di Paolo Dani, guida CAI responsabile della sicurezza, tristemente scomparso quest’estate nel distaccamento del ghiacciaio della Marmolada, e che teniamo qui a ricordare.

Leggere i pensieri di Gino Soldà.

Una parte importante e soprattutto complicata nel documentario di Gino Soldà, è stata giocata in sala di montaggio, per creare la giusta commistione di linguaggi narrativi, capace di restituire tutti gli aspetti di questa vita straordinaria: la lotta partigiana per amore della libertà, la formula delle scioline che ha lanciato la carriera di Gino in campo imprenditoriale, l’impresa sul K2 che ha rivelato il suo temperamento saldo.

Alessandra Cernic, la montatrice di Officina, ha cercato le chiavi fondamentali per iniziare il suo lavoro, per entrare nella testa del protagonista esplorando il suo modo di ragionare.

Il film, per la delicatezza del messaggio che vuole lasciare, e per la comunione dei diversi volti del personaggio che vuole evidenziare, si muove su diverse linee narrative, procede su diversi piani.

C’è la parte di fiction che racconta gli ultimi giorni della vita, il materiale di repertorio, le interviste, e infine le riprese delle scalate ripercorse da Simone Moro e Maurizio Tasca. Un mosaico di componenti, che Alessandra è riuscita a far comunicare fra loro, trovando sempre la soluzione adatta a rendere il ritratto di Gino ancor più vicino al suo protagonista.

La color correction di Sergio Cremasco, invece, ha dato un’identità propria ad ognuna delle cinque componenti narrative che scorrono parallele a livello visivo durante il racconto, riuscendo a rispettare ciascuna di esse.

Il lavoro sul colore, ci ha spiegato Sergio: “fa parte di un discorso più ampio, segue coerentemente il lavoro sulla fotografia e la recitazione degli attori per accompagnare lo spettatore in un viaggio fra i pensieri di Gino”. La parte di fiction, per esempio, dove Gino Soldà è interpretato da Mario Zucca, un volto che dà la perfetta sensazione di avere davanti l’alpinista in persona, mette in scena dei momenti di profonda riflessione dell’alpinista. Dei momenti dove non c’è tristezza, ma grande introspezione, uno stato d’animo preciso che andava tirato fuori al meglio.

In questo modo, il lavoro in postproduzione ha creato un percorso che è quasi una metafora della vita di Gino: così caleidoscopico, ma allo stesso tempo estremamente coerente con sé stesso.

Uscire dalla zona di comfort, anche in produzione!

Un progetto cinematografico di questo tipo prevede una conoscenza e un approccio alla produzione trasversali, capaci di cambiare i paradigmi già rodati e di uscire dalla propria zona di comfort, proprio come avrebbe fatto Gino!

Lavorare a una storia straordinaria, richiede a chi è “dall’altra parte” della cinepresa di uscire dall’ordinario e giocare alle stesse regole di una vita come quella di Soldà.

Secondo Marianna Tolio di Cineblend: “Le sfide produttive, infatti, sono state molte: una finestra temporale ristretta, l’imprevedibilità meteo, la necessità di essere presenti fisicamente in parete man mano che gli alpinisti Simone Moro e Maurizio Tasca procedevano nella scalata… Ma, guidati dal fine primario, cioè quello di mettersi a disposizione dei registi per aiutarli a materializzare la loro storia, la squadra composta da Cineblend e Officina Immagini ha sempre trovato la quadra.

In produzione è stato costruito uno scenario ad hoc per ogni linea narrativa, in modo tale da soddisfare le esigenze di ogni piano della narrazione. Girare un’intervista a Giannina, la nuora di Gino, creandole attorno un nido sicuro per far riaffiorare i ricordi, è infatti ben diverso rispetto a riprendere Simone Moro che affronta una parete.

Una vita più che straordinaria.

La figura di Gino Soldà è entrata nei cuori di tutta la squadra e questo ha permesso di trasmettere al pubblico i valori importanti che hanno attraversato la sua vita e che lo hanno reso ai nostri occhi una vera e propria fonte di ispirazione.

Questo documentario è quindi diventato più del racconto di una vita straordinaria, trasformandosi in un invito a credere nella reale e concreta possibilità di portare quella straordinarietà nella nostra vita, di sovvertire l’ordinario, credendo in qualcosa di più, desiderando davvero di andare un po’ più su.

La sua storia, come la montagna è “mamma e maestra”. Insegna a guardare in su, e a salire. “E soltanto dall’alto arriva la forza”.
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