Intervista a Martina Acazi
Come ti chiami e qual è il tuo lavoro?
Sono Martina Acazi e mi occupo di produzione video da 12 anni. Ho iniziato lavorando come operatrice di camera, oggi mi occupo principalmente di regia e aiuto regia. La fase di ripresa resta comunque uno degli aspetti che amo di più del mio lavoro, motivo per cui tendo a usare o muovere la camera anche quando faccio regia. Accosto a questi lavori anche quello di fotografa, possibilmente di scena.
Qual è il tuo ruolo in Officina Immagini?
In Officina Immagini lavoro principalmente nei ruoli di regista e aiuto regista. Da regista cerco di immaginare che tipo di immagini possano raccontare la storia di un progetto in particolare, mentre da aiuto regista mi occupo di supportare in toto il regista sul set, curando gli aspetti legati alle tempistiche e alla gestione della troupe.
ph. Ermes Storer
Come definiresti Officina Immagini?
Officina Immagini è oggi un gruppo di persone accomunate dalla passione del cinema e degli audiovisivi, passione tramutata in professione e competenza.
Sei una delle ideatrici di Quarantimes: ti va di raccontarci il progetto?
Quarantimes è uno dei progetti a cui sono più affezionata! L’idea è nata in pieno lockdown, a marzo 2020, durante una videochiamata con un paio di amiche e colleghe: un’assistente di camera, Martina Fabian, e una montatrice, Alessandra Cernic. Si discuteva della situazione che si stava vivendo in quel momento: i cinema erano chiusi e così anche le produzioni cinematografiche si erano fermate. Ma si parlava anche di come le videochiamate avessero “alleggerito” un po’ il dramma, degli aperitivi tra amici, di come le relazioni tentavano di andare avanti con un sorriso, anche se virtuale.
Da una battuta è poi nata una riflessione che si è in seguito sviluppata in altre call con Alessandra, e ci domandavamo: è possibile immaginare un nuovo modo di fare cinema? Unendo questa domanda ai discorsi più allegri degli aperitivi online, abbiamo iniziato a immaginare una sketch comedy in cui ognuno si potesse riconoscere e abbiamo capito che, nonostante qualche difficoltà, era possibile realizzarla da remoto, ognuno da casa sua, perfettamente rispettosi delle distanze e delle norme vigenti. Abbiamo quindi allargato l’idea ad alcuni attori e abbiamo fatto il primo test: è stato molto divertente e abbiamo deciso che valeva la pena provarci!
Tra una collaborazione e l’altra è nato così Quarantimes, una risposta “spensierata” al periodo nero che stavamo vivendo tutti.
Quali sono state le maggiori difficoltà nel realizzare questo format e quali le sorprese positive?
Io personalmente individuo un paio di particolari difficoltà. Una è la scrittura, ed è un aspetto che trovo difficoltoso in tutti i progetti: la scrittura è una delle fasi più importanti della lavorazione di un prodotto audiovisivo, si possono avere molte buone idee, ma bisogna trovare il modo di scriverle affinché tutto funzioni, una battuta sia verosimile o una storia possa appassionare chi la segue. Per la scrittura abbiamo chiesto aiuto a uno sceneggiatore, Salvatore Frisina, e il suo supporto è stato davvero essenziale.
La seconda difficoltà è non avere il controllo totale su quanto stanno registrando gli attori da casa. Per girare Quarantimes ci si trova con il cast in videochiamata, si fanno le prove e poi si gira. Ogni attore registra in modo indipendente con il suo cellulare, cercando di rendere la sua inquadratura il più possibile simile a quella che io vedo in videochiamata: io vedo loro online, ma non ciò che registra il loro device, e molto spesso io e Alessandra ci siamo accorte solo più tardi di alcuni problemi di inquadratura o addirittura di registrazione. Ma siamo riuscite comunque a risolvere!
Una delle sorprese più belle (ce ne sono state tante!), invece, è stata certamente la disponibilità del cast e di altri colleghi nel supportare il progetto con la loro competenza e il loro tempo.
È stato molto difficile in certi casi incastrare gli impegni di tutti e a volte ci si ritrovava a registrare di sera. Ciononostante nessuno si è mai tirato indietro. Molti di questi attori e attrici non li ho mai conosciuti nella realtà, solo online, eppure oggi è come se avessimo lavorato insieme da sempre: spero davvero di lavorare con loro su un set vero, in futuro!
Qual è il progetto più sfidante che hai realizzato nella tua carriera?
Tra tutti i progetti affrontati negli anni, non è facile scegliere il più sfidante: ogni progetto a suo modo è una sfida con le sue peculiarità. Dal primo minidoc naturalistico al primo cortometraggio, sicuramente tutti i “primi” progetti sono stati una grande sfida e avventura!
Nella mia carriera, però, potrei scegliere come più “sfidante” il primo progetto in cui proprio Officina Immagini mi ha coinvolta ufficialmente come regista: si trattava di un video corporate in cui si cercava di raccontare l’azienda attraverso la storia di una famiglia. Era la prima volta che qualcuno di esterno mi investiva di quel ruolo e io ho sentito addosso un’enorme responsabilità. Ma anche gratitudine, perché mi si dava modo di applicarmi e fare pratica, mi si dava fiducia.
Quella produzione è stata molto impegnativa, su tutti i fronti, e io ho imparato davvero moltissimo. Ho fatto degli errori, ma ho avuto modo di capire quali erano e come prevenirli in altre produzioni.
ph. Desiree Cecchini
Cosa significa essere una donna che lavora nel mondo del cinema?
Non nascondo una certa difficoltà a rispondere a questa domanda. Non tanto per la domanda in sé o la tematica cui allude, della quale è più che mai importante parlare, ma perché credo serva sottolineare e distinguere l’essere donna dal, semplicemente, essere. In altre parole: io sono prima di tutto Martina, con il mio carattere e la mia personalità; persona, ancora prima di donna.
Faccio questa precisazione perché, per quanto mi riguarda, mi rendo conto che sul set, come probabilmente chiunque in qualsiasi altro lavoro, porto prima di tutto la mia personalità, al di là del genere. Per esempio, io mi reputo una persona orgogliosa, e di conseguenza sul set mi trovo a dare il massimo, per riuscire e dimostrare -anzitutto a me stessa- di essere all’altezza e avere le competenze adeguate al ruolo. Ma questo è mero carattere, non lo faccio perché trovo difficile lavorare in una troupe di uomini, costretta a dimostrare che una donna può farcela allo stesso modo.
È un confine molto sottile quello tra il carattere e, chiamiamola così, appartenenza a un genere.
Per me sul set non c’è, o meglio, non dovrebbe esserci alcuna differenza tra uomo e donna e mi rendo conto che certi comportamenti appartengono più al carattere (e al retaggio culturale, su cui bisogna lavorare molto!) che al genere in sé.
Da aiuto regista, ci sono stati set in cui mi rendevo conto che facevo fatica a essere autorevole con una troupe di soli uomini, ma ce ne sono stati altrettanti in cui questo problema non l’ho minimamente percepito.
Questo mi porta a pensare che la differenza la faccia la testa delle persone con cui lavori, la loro storia personale, e non necessariamente il genere di appartenenza. Ciononostante mi rendo conto che sul lavoro, nel mondo del cinema come più in generale, essere donna è discriminante: non tanto per via delle competenze, purtroppo non sempre equamente riconosciute e retribuite, quanto piuttosto per il rischio di dover aver a che fare con parole e/o comportamenti sessisti. Da questo punto di vista sono abbastanza certa che un uomo sia facilitato, perché non deve affrontare questi problemi, non gli si pongono davanti mentre lavora.
Ma questo purtroppo è un problema diffuso, non appartiene al solo mondo del cinema.
ph. Anna Dalla Bona
Una percezione positiva che ho, però, è che sta cambiando la mentalità dei ruoli relegati a determinati sessi e questo mi fa immensamente piacere: oggi sempre più donne riescono a fare lavori prima occupati principalmente da uomini (operatrici di camera, direttrici della fotografia, macchiniste, ecc) e molti uomini hanno modo di fare lavori prima occupati principalmente da donne (sarti, truccatori, segretari di edizione, ecc).
Il percorso fatto finora è stato difficile e in alcuni casi lo è tuttora. Va affrontato, giorno per giorno. La strada è ancora lunga, ma sono ottimista, e voglio credere a questo vento di cambiamento che percepisco.
Cosa ami di più del tuo ruolo di regista?
Ci sono due aspetti che amo particolarmente. Il primo è la diversità dei progetti su cui si lavora, non c’è mai niente di uguale identico a un progetto già fatto e ogni volta si impara o si scopre qualcosa di nuovo. Puoi dover girare una fiction in mezzo a un bosco tanto quanto trovarti a riprendere dei forni in cui fondono alluminio: dal progetto più creativo a quello più tecnico, i mondi in cui entriamo e che esploriamo sono sempre diversi. E questo mi piace molto.
ph. Desiree Cecchini
Il secondo aspetto, più legato alla regia, è la sfida della creatività. Quando si ha a che fare con il creativo, molto spesso si pensa che sia tutto molto soggettivo, eppure non è così.
La creatività è illimitata, ma ci sono delle regole ben precise che la portano a essere funzionale, ovvero a funzionare, a far sì che per quello spot si crei nello spettatore una precisa emozione, o affinché in quel corporate si percepisca la tecnica e la professionalità. La creatività è quindi una sfida in ogni progetto, perché il video deve funzionare ancora prima di essere semplicemente bello.
Ed è per questo che diventa poi fondamentale il lavoro di squadra: non è detto che ciò che si ha in testa sarà la scelta giusta per quella scena e quindi ben venga il confronto con l’art, con il dop o con il montatore.
Qual è l’aspetto più difficile del tuo lavoro?
Nella regia, credo che la parte più difficile corrisponda a quella che mi piace di più e quindi, come dicevo, tutta quella parte in cui bisogna trasformare ciò che si ha in testa in immagini visive che messe insieme possano funzionare e far arrivare agli spettatori le emozioni o gli obiettivi che avrà il prodotto audiovisivo che si andrà a creare. Non è mai scontato.
Nel ruolo di aiuto regista, invece, l’aspetto più difficile è forse quello di trovare l’equilibrio giusto sul set: la mia figura è a metà tra la produzione e la troupe, e devo riuscire a fare contenti un po’ tutti. Essere quindi autorevole, per far rispettare le direttive, ma al contempo a disposizione per poter dare a tutti l’attenzione e il tempo di cui necessitano senza però rischiare di tardare la produzione.
ph. Claudia Tommasin
È stato un anno davvero duro per questo settore, cosa ha fatto nascere di nuovo/positivo all’interno di Officina Immagini?
Credo Officina Immagini si sia in qualche modo rafforzata, dentro e fuori. Internamente, perché in questo periodo il team principale ha avuto modo di confrontarsi e mettere sul tavolo nuove idee, progetti e obiettivi. Non si è rimasti a guardare, si è provato a tenere tutto in movimento. Esternamente, perché Officina ha iniziato a esporsi, a far sentire la sua voce, a far conoscere le sue tecniche e le sue competenze anche fuori da questo mondo, tentando di parlare alle aziende, ma anche a chi si occupa di cinema o, banalmente, a chi lo guarda.
ph. Giacomo Dian
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