Intervista a Sergio Cremasco
Sergio Cremasco, colorist affermato a livello internazionale, come inizia questa storia?
Avevo 14 anni quando mio padre mi regalò una macchina fotografica, una piccola Ricoh 500, una macchina fotografica del tutto manuale.
Da quel momento ho iniziato a ragionare su tutto quello che vedevo all’interno del mirino. Ho cominciato ad interessarmi alla fotografia in ogni suo aspetto, dalla tecnica allo sviluppo in camera oscura del bianco e nero. Quella piccola Ricoh è stata il portale verso il mondo professionale.
A 17 anni poi ho capito che mi interessavano di più le immagini in movimento. Sono passato dalla macchina fotografica alla telecamera, e quindi alla riprese. Da lì ho iniziato a coltivare l’interesse per il cinema.
Il cinema è sempre stato il mio più grande desiderio e obiettivo, e da quel momento, ogni passo successivo della mia vita lavorativa è stato mosso in quella direzione.
Ho sempre avuto un’immagine in testa che mi ha permesso di poter conseguire questo risultato, nella mia mente c’è sempre stata la classica fotografia di un dietro le quinte, dove ci sono a sinistra gli attori, la macchina da presa al centro e una nuvola di persone dietro la macchina. E ovviamente io mi vedevo lì, in mezzo a quella nuvola.
Facendo i primi lavori e studiando sempre più da vicino questo mondo, ho capito che la mia zona di lavoro, la mia zona di comfort era proprio dietro la macchina da presa.
Perché hai deciso di diventare un Colorist?
Non ho mai fatto altre attività diverse da quelle dell’imaging.
Ho fatto il videomaker ai matrimoni, l’assistente fotografo e il fotografo di moda, le riprese per i telegiornali di provincia, ho lavorato all’interno di un troupe ENG andando a fare le riprese a destra e a sinistra sia per i telegiornali italiani e poi per quelli stranieri.
Tutto questo girovagare mi ha portato a fare varie riprese alle interviste agli attori presenti al Festival del Cinema. Proprio a Venezia, all’interno di una sala dell’Excelsior incontrai una persona che stava facendo la dimostrazione di una macchina per fare la correzione colore. Quella persona era Adriano Mestroni, un colorist che ha fatto la storia della color correction italiana e quello fu un incontro cruciale, quasi epifanico, della mia vita.
Fu in quella stanza d’hotel che vidi per la prima volta ciò di cui avevo soltanto sentito parlare. All’epoca non c’era internet, non c’erano riviste del settore specializzate e di conseguenza accedere a certe attrezzature e workflow era molto molto difficile.
Tanto rimasi colpito da quello che faceva vedere tanto lo stressai, perchè ogni minuto libero che avevo dalle interviste correvo da lui, per osservare incantato ciò che faceva e riempirlo di domande. Ero magnetizzato, o forse ero solamente attratto dal mio stesso destino che si stava manifestando.
Mi proposi come suo assistente seduta stante, caso volle che in quel periodo Adriano stesse facendo delle selezioni. Mestroni lavorava a Milano, in una società che si chiamava Interactive Group, una mecca della post-produzione a livello internazionale, cosa che io non sapevo, l’ho saputo soltanto dopo le selezioni, quando mi arrivò una telefonata da Adriano: “Sergio, ho scelto te come assistente”.
Era il 1996, lì è iniziata la mia carriera all’interno del mondo della correzione colore.
Raccontaci le tappe più importanti della tua carriera di Colorist.
Sicuramente la prima è in Interactive Group, grazie ad Adriano. Grazie a lui perché mi ha dato la possibilità di stargli accanto e di entrare in questo mondo ma non grazie a lui perché mi abbia fatto da maestro. Lui non mi ha insegnato niente di quel lavoro. Però mi ha dato la grande possibilità di entrare all’interno di quella sala di correzione colore e poter rubare con gli occhi, studiare e provare di notte quando la sala non era impegnata con i clienti.
Me la ricordo benissimo quella sala, sembrava la cabina di pilotaggio di un 747.
In Interactive ho cominciato a lavorare con i primi prototipi che potevano permettere la correzione colore nel cinema. Ben presto quella che il primo giorno mi parve una intricatissima cabina di pilotaggio divenne “casa”.
Finché un giorno mi dissero: “Sergio, domani vai a Roma”. Mi hanno letteralmente spedito a Cinecittà, me e l’attrezzatura!
A Cinecittà ho realizzato il mio primo film: Vajont. Avevo 27 anni. Ed è stato il primo film italiano ad essere fatto con una pipeline tutta digitale (digital intermediate) e il terzo al mondo.
Da Cinecittà è cominciato un periodo di 15 anni in cui ho cambiato 11 città e 11 società per poter lavorare in un film o con un regista o direttore della fotografia che mi ispirava, ho lavorato non solo in Italia ma anche in Europa e oltreoceano. I miei spostamenti sono sempre stati rivolti alla ricerca, a volte spasmodica, di fare esperienze e di ingrandire il mio vocabolario visivo.
Nel 2009 ho accettato l’incarico di lavorare come responsabile del reparto digitale di una grande multinazionale del cinema, la Deluxe, per poi lasciarla un anno dopo per aprire nel 2010 Officina Immagini, nella mia Padova, la mia città natia.
Qual è il tuo ruolo in Officina immagini?
In Officina Immagini il mio ruolo è quello di responsabile delle attività dello studio. Oramai all’interno di Officina ci sono tante persone, ognuno con il proprio ruolo e la propria specifica competenza. La mia prima mansione è quella di gestire ogni singola produzione, sia dal punto di vista artistico che tecnico.
Come dicono quelli bravi, sono il “Product Manager”.
Cosa fa esattamente Officina Immagini?
Officina Immagini è una casa di produzione e post-produzione che lavora sia in ambito pubblicitario che in ambito cinematografico.
Pubblicità
Seguiamo il cliente al 100%, in ogni fase, dalla parte creativa alla parte di progettazione e casting. Lo possiamo fare in due modi:
Ci mettiamo accanto al reparto marketing della singola azienda e li accompagniamo, pensando soprattutto ad una strategia di video marketing. Perché, detto tra noi, fare un video non serve a nulla se intorno ad esso non c’è la giusta strategia, studiata ad hoc per il cliente.
Ci mettiamo a fianco dell’agenzia di comunicazione che gestisce il cliente. Quindi forniamo tutto il nostro know-how per poter realizzare al meglio il progetto.
Cinema
Ci occupiamo della produzione esecutiva. Ci occupiamo di tutta la parte burocratica e logistica inerente alle riprese, mettiamo al servizio del progetto tutte le maestranze e competenze, attingendo dal nostro team, per chiudere ogni reparto. Oppure possiamo noi occuparci di tutto noi, dalla A alla Z.
Gestiamo le tecnologie, offriamo servizi quali quello ad esempio della BUGGY CAM che dà la possibilità di avere delle riprese uniche e sempre più all’avanguardia, il DIT che ormai è sempre di più al centro di tutta la post-produzione, grazie al quale si gestiscono tutti i materiali e i flussi di lavoro, per fare poi il controllo direttamente sul set di tutto quello che viene girato, sia per quello che riguarda il video sia per quello che riguarda l’audio.
Qual è la tua filosofia?
La mia filosofia, che poi è la stessa che ho cercato di portare in Officina Immagini è quella delle persone, delle competenze, del team.
Noi mettiamo in campo noi stessi: tutta la nostra expertise, il nostro know-how, non vendiamo attrezzature o macchinari.
Ognuno di noi, nel proprio campo sa fare delle cose in un determinato modo e le sa fare molto bene. Quindi noi “vendiamo” la nostra grande esperienza.
Di conseguenza noi siamo non solo affiatati ma anche molto organizzati, sappiamo bene come affrontare la singola lavorazione attraverso un metodo: dall’accoglienza del cliente alla raccolta del brief fino alla consegna dell’ultimo file che serve per la messa in onda o per la gestione di un social.
Cosa lega i professionisti che gravitano e fanno parte di Officina Immagini?
Esattamente questo modo di lavorare di cui ho appena raccontato.
Lavorare nell’eccellenza e fornire il meglio in ogni aspetto del progetto è quello che ci tiene uniti. Questo riguarda tutto il gruppo di lavoro, anche quelle maestranze che solo apparentemente sembrano meno creative ed importanti di altre, ma in realtà ogni figura è chiamata in causa per aggiungere la propria passione, il proprio istinto, il meglio di sé. Quando il team lavora con questo atteggiamento, si vola!
Questo è quello che ci contraddistingue: un piano di lavoro in continua evoluzione che ci spinge a spostare i nostri limiti, e soprattutto ci costringe ad imparare sempre.
Quanto è importante per te la formazione e la condivisione delle informazioni?
La formazione e la condivisione delle informazioni è tutto, soprattutto nel 2021. Tutte le persone coinvolte devono sapere esattamente cosa stiamo facendo. Basta col dire “presentati lunedì che facciamo un video di un’azienda” non vuol dire niente!
In un’ottica di condivisione c’è la possibilità per tutti le persone coinvolte nel progetto di contribuire attivamente a ciò che si sta facendo. Tutto questo porta ad un valore superiore di quello che noi “vendiamo” all’azienda. E il cliente di questo se ne accorge, lo percepisce, ne sente la profondità e capisce che stiamo cercando di fare il meglio per lui.
Quale aspetto del tuo lavoro ti appassiona di più?
L’aspetto che più mi piace del lavoro è proprio quello di creare ogni volta un progetto nuovo. Un progetto che sia corretto per il nostro cliente, corretto nel rispetto anche della nostra sensibilità e della nostra creatività.
I lavori che facciamo sono sempre molto diversi l’uno dall’altro, questa eterogeneità ci mette alla prova e ci stimola. Noi dobbiamo non solo consigliare al meglio il cliente ma dobbiamo stare lì con lui, mano nella mano, seguirlo e fargli capire il perché delle nostre scelte, talvolta lo dobbiamo assecondare e quindi capire noi esattamente le loro motivazioni.
Il nostro rapporto col cliente è un dialogo attivo, una relazione vera e propria, dove noi diamo sfogo alla nostra creatività ed expertise e restituiamo al cliente che ci ha dato fiducia un prodotto corretto, su misura per lui e per le sue esigenze, e lui ne è soddisfatto.
Come ti approcci a un nuovo cliente?
Il mio approccio con un nuovo cliente è sempre di ascolto. Un ascolto attivo ed interpretativo, mai dentro a schemi precostituiti.
Io devo imparare a conoscere la loro realtà, perché ogni azienda ha delle esigenze diverse e di conseguenza l’ascolto è l’unico atteggiamento possibile. Capire i loro obiettivi, le loro dinamiche ed entrare nella loro storia: sono tutte informazioni fondamentali per poter costruire qualcosa con loro, quella relazione di cui parlavo prima.
Quindi l’ascolto, sempre, è fondamentale. Esattamente come nelle relazioni, quelle che funzionano!
Quale ricordo vorresti lasciare ad ogni cliente?
Il mio desiderio è che il cliente, ogni volta che pensa a noi, pensi ad un team di professionisti che cerca di sviluppare al meglio la loro attività.
Questa è la cosa. Voglio che capisca che noi non usiamo un cliché, non usiamo un timbro, ma cerchiamo realmente di capirli e di farli progredire, di farli crescere attraverso dei video corretti per loro.
Perché un video giusto per un’azienda funziona molto di più di un video bello per l’azienda. La bellezza non serve a niente se non è messa all’interno di un contesto di reali bisogni, di reali necessità. Instagram lo sta dimostrando: ognuno di noi vince quando è se stesso, quando è più simile a se stesso e non quando imita o segue qualcun altro.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Una cosa sì, perché è un aspetto che mi sta molto a cuore. Avendo lavorato con molte agenzie di comunicazione, la cosa che a me fa piacere è che ogni qualvolta noi cominciamo un rapporto, questo rapporto continua per anni.
E quindi questo vuol dire che abbiamo la capacità, con loro chiaramente, di costruire una reale partnership, quel dialogo di cui parlavo prima, base e nutrimento di ogni rapporto di fiducia.