24 Marzo 2022 Sergio

Faccia a faccia con il neuromarketing.

L’unico modo per scoprire i segreti di un ambito sconosciuto è quello di porsi faccia a faccia con ogni suo aspetto. Questo è esattamente ciò che va fatto anche nei confronti del neuromarketing e della sua promessa di donare un superpotere a chi lavora con la comunicazione visiva.
Ma quale sarebbe questo superpotere? Quello di comprendere, in base allo studio del cervello, perché determinati contenuti risultino così coinvolgenti, così forti.

In un mondo dove le immagini sono diventate le particelle elementari che compongono la realtà che ci circonda, è entusiasmante essere arrivati a possedere un sistema scientifico in grado di mappare i modi in cui interagiamo con esse.

Pensate al ritmo calzante dell’avventura che ci tiene incollati agli spot delle auto, allo sguardo ipnotico di una modella che rapisce lo spettatore nella pubblicità di un profumo, a quelle immagini che si stampano nella nostra testa, diventando il ritratto riconoscibile di un brand, la prima cosa che ci viene in mente quando pensiamo a quel marchio.

Tutto quello che ci spinge a guardare e poi a ricordare, passa per i neuroni. Ecco perché le neuroscienze aiutano a comunicare sempre meglio.

Imparare a parlare coi neuroni.

Negli ultimi anni si è assistito ad una rivoluzione che ha permesso alla comunicazione video di migliorarsi in termini di efficacia dei risultati, grazie ad una preziosa alleanza: quella con le neuroscienze.

La contaminazione fra strategie comunicative e studi neuroscientifici ha funzionato un po’ come una lega metallica, perché ha rappresentato un enorme vantaggio per entrambi gli ambiti, che sono andati a rafforzarsi a vicenda.

Proprio come il ferro e il carbonio, che uniti danno vita all’acciaio.
La lettura sperimentale delle risposte che il nostro cervello dà a stimoli visivi complessi come le immagini, rappresenta un grosso passo avanti nel comprendere come funzioniamo a livello profondo. E non solo…

Per quanto riguarda l’applicazione di questa rivoluzione comunicativa al mercato, occorre fare un passo ulteriore, che porta dritti al neuromarketing.

Lo scopo del neuromarketing ha qualcosa di magico, di molto vicino alla telepatia, in quanto si propone di analizzare ogni componente di una strategia di comunicazione:

  •  la struttura delle immagini
  •  il ritmo imposto dal copy
  •  l’emozione suscitata dal contenuto del messaggio

Questo serve a rendere ogni elemento coinvolgente, emozionante, dunque perfettamente adatto ad aprire un canale diretto con i processi decisionali d’acquisto dei consumatori.

Le immagini che ci toccano.

Incuriositi da questa recente sfida comunicativa, in Officina Immagini, non abbiamo potuto che lasciarci affascinare dalle potenzialità di una strategia di marketing che sia in grado di incrociare le risposte neurali con i desideri più strutturati del cliente, quelli legati al contesto culturale e sociale in cui egli si muove in veste di consumatore.

A partire dal grande interesse che nutriamo nei confronti della complessità della comunicazione visiva, abbiamo visto nel neuromarketing un’opportunità per imparare a creare una comunicazione video che sappia parlare ai neuroni e restare letteralmente in testa a chi la guarda!

Che dire? La prima cosa su cui abbiamo ulteriormente aperto gli occhi, grazie al percorso di scoperta del neuromarketing che abbiamo intrapreso, è che l’essere umano è una macchina straordinaria, che sembra essere stata appositamente costruita per farsi toccare dalle immagini.

Ma può un’immagine arrivare a “toccarci”, nel vero senso della parola? E come?

Cosa vedi nella forma delle nuvole?

Le neuroscienze ci insegnano che il nostro cervello è un oggetto plastico e che ha tantissima sete di stimoli. Il suo funzionamento non va infatti immaginato come un’attività di comando isolata, ma come un esercizio in continuo essere, come un’attenzione tattile, prensile, che non vede l’ora di acciuffare tutte le informazioni che può.

Ci sono, per di più, degli elementi magnetici che si sono rivelati, su base sperimentale, particolarmente coinvolgenti e capaci di toccare chiunque li osservi.

Quando ci si trova a guardare la forma delle nuvole, per esempio, tutti tenderemo con grande probabilità a vedere dei visi nei disegni che queste creano sopra di noi.
E con il cibo? Stessa storia.
Spesso i bambini si divertono a comporre delle facce utilizzando quello che hanno nel piatto.
O ancora, esistono casi di persone che giurano di aver riconosciuto, all’ora di colazione, mentre studiavano le parti più abbrustolite dei loro toast, l’icona di una figura sacra o il volto di un personaggio famoso.

Qualcosa di urgente.

Per non parlare dello spaesamento che hanno creato le mascherine a inizio pandemia, quando si sorrideva per strada con l’intenzione di salutare qualcuno, dimenticando di avere metà del volto coperto.
Un vero e proprio cortocircuito comunicativo.

Lo smarrimento che una situazione del genere ci lascia addosso è dovuto da una sorta di urgenza di riconoscimento, un meccanismo inconscio, perché attivato a livello neurale, che ci spinge a rilevare e decifrare i volti e le loro espressioni, per dargli un significato.

Gli esempi sono infiniti, ed estremamente condivisibili, perché dietro all’inconfutabile magnetismo che le immagini di volti esercitano su di noi, c’è una radice biologica, legata a come siamo fatti.

Come se esistesse un nucleo umano comune, che bisogna imparare a conoscere per arrivare a comunicare facendo leva su aspetti fisiologici e scientificamente provati.

In ciascun video che guardiamo, infatti, ci troviamo a cercare i volti prima di qualsiasi altra cosa.

La sfida del neuromarketing.

In questo senso le neuroscienze offrono un ottimo punto di partenza. Un ancoraggio solido a cui saldare tutti i passi successivi della nostra strategia comunicativa.

La sfida del neuromarketing ci ha insegnato a tradurre degli spunti scientifici nelle nostre produzioni, per orientare la struttura della comunicazione video sulla base di parametri oggettivi, estremamente utili, come:

  • Costruire immagini che stimolino l’affetto e l’identificazione attraverso elementi salienti come i volti.
  • Scrivere il copy pensando ai tempi del video, per dargli un ritmo che tenga alta l’attenzione.
  • Legare il contenuto ad un’emozione precisa, che sia direttamente riconoscibile ed associabile ad esso.

Una questione di forma, insomma, di una forma costruita sullo studio di meccanismi biologici, che vanno conosciuti per essere utilizzati al meglio.

Il guadagno in termini di efficacia, per quanto riguarda i contenuti di video commerciali, si ha quando le neuroscienze suggeriscono una struttura capace di dare ordine, non una gabbia limitante.

Tocca fare pace con il cervello!

Abbiamo sperimentato in prima persona l’attenzione che serve per rimanere dalla parte giusta di questo confine, sottoponendo alcuni nostri video commerciali a rilevazioni neuroscientifiche!

“Fare pace col cervello”, per noi, vuol dire usare le neuroscienze per definire i margini del programma narrativo ed emozionale che Officina Immagini si impegna a realizzare per ogni suo progetto di comunicazione visiva. Ma solo i margini! La forma comunicativa, infatti, non può risultare rigida, ma deve modellarsi sulle esigenze dell’azienda, mettendo in luce i suoi punti di forza e le sue peculiarità.

Ora che le parole “sperimentale” e “neuroscientifico” non ci fanno più paura, possiamo dirlo: come ogni strumento, il neuromarketing offre le condizioni preliminari. Lo spazio poi, è tutto della fantasia, dell’intuizione, dell’esperienza, che riempiono ogni intenzione comunicativa.

 

Per costruire immagini capaci di toccare chi le guarda servono emozioni piene, di quelle che rimangono nel cervello, perché passano prima per la pancia!

 

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